di Maria Liuzzi
"Amor mi mosse”: la
carriera di Graziano Galatone, indimenticato Febo nel musical Notre Dame
de Paris, può essere riassunta così. Al futuro ci pensa tutte le notti,
e giura che tornerebbe a fare l’odontotecnico, mestiere a cui è stato
strappato – fortunatamente per i suoi innumerevoli fans – dalla passione
per l’arte in tutte le sue sfaccettature. Per Graziano “casa” è ancora
la natia Palagianello, che ha lasciato appena ventenne per trasferirsi a
Roma, in cerca dell’occasione che potesse valorizzare il suo talento.
Quando hai capito che la
tua strada non coincideva del tutto con il percorso di studi intrapreso?
A livello inconscio credo
di averlo sempre saputo… Mio padre è musicista (suona la batteria) e
quindi ho sempre vissuto a contatto con l’arte, alle medie invece
ho scoperto una grande passione per il canto popolare, fronte sul quale
sono impegnato tutt’ora. Ho proseguito gli studi al Santarella di Bari,
e dopo il diploma ho lavorato in uno studio dentistico di Massafra. Non
ho mai studiato né canto né altre forme d’arte, sono nato per strada,
imparando sul campo tutto quello che mi serviva.
Una scelta coraggiosa la
tua… lasciare il tuo paese, gli affetti, per seguire una strada non
certo facile. Che ricordo hai degli anni trascorsi a Roma?
Credo che per ogni figlio
del Sud sia difficile comunicare una scelta del genere alla propria
famiglia: da noi c’è ancora il mito del “posto fisso”, i legami di
sangue contano più di ogni altra cosa. Mio padre era scettico, da
musicista conosceva bene le delusioni a cui sarei andato incontro, mia
madre invece mi ha sempre sostenuto, incitandomi a restare a Roma in
attesa della grande occasione. Non è stato facile… ho lavorato come
lavapiatti, come cameriere, intanto coglievo tutte le occasioni per
esibirmi davanti al pubblico cantando, complice qualche amico che per
passione suonava nei locali. Avevo solo la mia passione, forte più di
ogni altra cosa, delle privazioni, della nostalgia di casa, della
solitudine… Pensavo – e lo penso ancora – che l’artista che riesce ad
esprimersi sia toccato da Dio. Ricordo di aver pianto tanto, perché i
momenti di sconforto, inutile negarlo, ci sono. Le occasioni migliori di
quegli anni le ho avute come percussionista: ho suonato con Edoardo
Vianello, Wilma Goich, Jimmy Fontana…
La svolta arriva nel
2002, con il musical Notre Dame De Paris. Come sei stato scelto per la
parte di Febo?
E’ stata un’amica a
parlarmi di questi provini, un’occasione da non perdere. La ricerca di
Febo è durata sei mesi, ma sentivo che sarei stato io il prescelto. Ma
il gioco si è fatto davvero duro quando ho dovuto calarmi nella parte:
l’esperienza in Notre Dame de Paris è stata la mia prima vera scuola
musicale, anche se quanto ho imparato per strada mi ha notevolmente
aiutato: anche nel musical sono fondamentali cose che avevo già fatto
mie, come padroneggiare le movenze del corpo e le espressioni del viso.
E’ stata un’esperienza che mi ha dato tanto sia dal punto di vista
professionale che da quello umano, che non potrò mai dimenticare. Sono
stato in tour dal 2002 al 2004, e quando quell’esperienza è finita, la
mia è ridiventata una strada in salita. Oltre a non deludere le
aspettative del pubblico, ero io in prima persona a chiedere di più a me
stesso, cercando di avvicinarmi solo a progetti che potessero
stimolarmi, regalandomi anche soddisfazioni personali.
Direi che sei stato
accontentato… Lucio Dalla ti sceglie come protagonista di “Tosca amore
disperato”.
Dopo Febo mi sono calato
nei panni di Mario Cavaradossi, un nuovo musical che ha girato l’Italia
e l’Austria per quasi due anni. Anche questa è stata una grande
esperienza, che mi ha permesso di lavorare con grandi professionisti.
Cosa rispondi a chi dice
che il musical è morto e soprattutto che in Italia non ha mercato?
Il grande problema
dell’Italia sta nella carenza di strutture che sostengano gli artisti
emergenti e nella quasi totale assenza di ottimizzatori di denaro, e
questo purtroppo non riguarda solo il musical. Sono tante le forme di
spettacolo trascurate, ed è un errore imperdonabile, significa
rinunciare ad un importante volano di sviluppo, soprattutto turistico.
Il musical non è affatto morto, ma c’è molta paura e poche idee. Hair,
Grease, Cabaret, A chorus line non hanno tempo, riescono ancora a
stare in scena con stile dopo 40 anni, e funzionano anche in Italia
perche alla base dello spettacolo ci sono idee geniali nella loro
semplicità. Una cosa che nel nostro paese manca.
Hai mai pensato di
scrivere un musical tutto tuo?
A dire il vero ne ho già
scritti due e mi accingo a mettere nero su bianco il terzo… Intendo dire
che ho scritto la sinossi e le musiche, ma non so se questo sogno sia
destinato a diventare realtà! I produttori ti voltano le spalle se non
hai un nome più che famoso. La verità è che i lavoratori del musical
sono diventati dei semplici operai, un mero sostegno a cantanti che non
accettano di cadere nel dimenticatoio e scelgono questa strada per
riproporsi in chiave diversa. Il teatro fa da traino alla vendita di cd,
una sorta di serpente che si morde la coda, ma che strangola chi ha il
diritto di avere una possibilità. Mi piacerebbe che ci fosse una
commissione che basasse i suoi giudizi sulla qualità della musica, e non
sulla fama televisiva o da gossip.
Un curriculum di tutto
rispetto il tuo, che ti ha permesso di ottenere un riconoscimento molto
importante
Ho recitato in un episodio
de “Il Maresciallo Rocca”, interpretando il cattivo di turno, ho
collaborato con diversi musicisti tra i quali anche Eugenio Bennato, due
anni fa sono stato tra i protagonisti della notte della Taranta, ho
interpretato Lorenzo dei mdici nello spettacolo con musiche di Riz
Ortolani alla Fenice di venezia, e poi il musical su S. Francesco “Forza
venite gente”. Riguardo al riconoscimento, devo ammettere che è stato un
momento molto emozionante: l’Associazione Internazionale dell’Operetta
mi ha assegnato il premio nazionale Sandro Massimini, per essermi
distinto come artista eclettico e come migliore interprete nel panorama
musicale italiano. |